Il cavaliere rosso
Il cavaliere rosso
14.08.2012 17:51
Era da domenica sera che non stavo bene.
Una spossatezza diffusa, difficoltà a respirare, dolori articolari.
Certo poteva essere il caldo, era Agosto e la temperatura superava spesso I trenta gradi.
Ma sapevo che stavo raccontandomela, sentivo che la bestia stava tornando contro ogni previsione contro ogni probabilità.
“Domattina vado all'ospedale” pensai “avrei già dovuto farlo ieri”.
Era martedì pomeriggio, martedì 7 Agosto 2012.
Mia moglie era al mare con un amica, io e mio figlio avevamo appena finito di pranzare, il termometro in cucina segnava 31 gradi.
“Miky Io mi sdraio un attimo che mi sento poco bene” dissi a mio figlio”fai tu la cucina?”
“Ok, finisco una cosa al pc e poi sparecchio” rispose andando a chiudersi in camera sua.
“Bene ma vedi che sia prima di notte.”
Mio figlio aveva quasi ventun'anni e faceva il secondo anno di chimica, aveva un intelligenza pronta che gli invidiavo ed una memoria notevole ma pareva che il suo unico interesse fosse passare ore davanti al pc a giocare o a disegnare.
Mi diressi lentamente verso il letto, mi sembrava di avere trecento anni.
Da sdraiato le cose andavano meglio.
“Cazzo” pensai”possibile che mister Embolo avesse deciso di tornare a farmi visita?”
Era trascorso solo un anno dall'embolia polmonare che quasi mi aveva portato in braccio alla “Commare Secca”.
Ma poi tutto era passato, sembrava un problema superato ed ora nuovamente quei sintomi.
Ma forse era solo il caldo, e l'età, e che fumavo troppo, e bevevo troppo, e non avevo un lavoro fisso, e forse la depressione.
Decisi di fare un po di meditazione controllando il respiro, pochi minuti dopo, dolcemente, mi addormentai.
Mi risvegliai verso le 16 riposato e più ottimista.
Andai in cucina che, ovviamente, era nelle condizioni in cui l'avevo lasciata prima di andare a riposare.
“Michele, porca paletta, la cucina! ” strillai.
“Si, un attimo e la faccio” mi rispose dalla camera .
“Sbrigati dai, che con 'sto caldo potrebbero svilupparsi forme di vita aliene dagli avanzi.”
Misi in frigo I cibi più deperibili e scesi nello studio.
Il mio studio era una stanza lunga e stretta ricavata dalla cantina, su uno dei lati lunghi avevo costruito una libreria di mogano in stile marina inglese, lunga sei metri ed alta due finita a gommalacca. Mi era costata tre mesi di lavoro ma era venuta uno splendore.
Sul lato corto che dava sul giardino c'era una finestra che prendeva quasi tutta la parete, posta a circa un metro e mezzo da terra, sotto la quale era posizionata una scrivania anni '50, trovata in cantina al momento dell'acquisto della casa e restaurata con cura certosina, la poveretta sopportava il peso del mio vecchio computer e dell’ enorme monitor a tubo catodico.Sull'altro lato lungo si apriva la porta che dava sul corridoio che portava al mio laboratorio di restauro e poi nella cantina vera e propria.
Nonostante fosse una cantina il caldo era insopportabile.
Mi venne in mente che, un paio di anni prima, il mio vicino mi aveva regalato un condizionatore ad unità esterna, chissà se funzionava ancora, valeva la pena di tentare.
Passai dallo studio al laboratorio e da li alla cantina.
C'era un discreto casino ma sapevo dove cercare, infatti lo trovai quasi subito. Era composto da due pezzi: un cassonetto alto circa un metro per cinquanta centimetri ed un'unità a valigia grossa, perlappunto come una valigia media. Le due parti erano collegate fra loro da un tubo corrugato lungo all'incirca tre metri.
Osservai a lungo il macchinario, avevo veramente voglia di spostare tutto quell'ambaradan sino allo studio?
Mi sedetti su di una cassa, avevo già il fiatone al solo pensiero.
Il cassonetto era montato su rotelle, se fossi riuscito a mettere la valigia sul cassonetto avrei potuto trascinare il tutto.
Mi avvicinai alla valigia, era pesante ma potevo farcela, la poggiai sul cassonetto cercando di metterla in equilibrio.
Poi iniziai a trascinere quel totem verso la porta.
Tra la cantina vera e propria ed il laboratorio c'era un piccolo gradino di due o tre centimetri, non ci avevo mai fatto troppo caso ma ora per me era una barriera architettonica. Tirai, spinsi, tirai di nuovo, nulla da fare, il fiatone aumentava, sudavo come una fontana ma non avevo la forza fisica per superare quel maledetto gradino.
Ora, io non è che sia proprio un omarino, sono alto un metro e ottantotto per 77 chili di peso e mi sono sempre reputato, se non un atleta, per lo meno un signore di mezza età in discreta forma.
Quei tre centimetri di gradino erano lì a dimostrarmi che mi sbagliavo.
Mi sedetti per riprendere fiato, il cuore batteva all'impazzata e respirare era molto faticoso.
Rimasi così qualche minuto, chiedendomi se non sarebbe stato opportuno chiamere mio figlio per farmi aiutare o addirittura lasciar perdere e rimettermi a letto.
Mi venne in mente che in laboratorio avevo una lastra di alluminio di circa un metro per un metro lasciata dai muratori che avevano ristrutturato la casa.
Andai a prenderla e la misi sul gradino poi trascinai il condizionatore lungo lo scivolo, in fondo le piramidi erano state costruite con quella tecnica no?Attraversare il laboratorio non fu difficile, arrivai comunque allo studio stremato ed in preda alla tachicardia.
Pensare di calare l'unità esterna dalla finestra era fantascienza per cui mi accontentai di posizionala nel corridoio rivolta verso la porta che dava in giardino.
Mi risedetti a prendere fiato”Pensa che bello se fosse rotta” dissi ad alta voce.
Poi inserii la spina nella presa e schiacciai il tasto start.
Il cassonetto ronzò si scosse poi dolcemente iniziò a soffiare un venticello fresco.
Mi sedetti alla scrivania ed accesi il pc.
Stavo scrivendo, da qualche settimana, un racconto a puntate sul mio profilo Facebook.
La regola che mi ero dato, e che cercavo di rispettare, era molto semplice.
Scrivevo di getto e poi pubblicavo senza rileggere e senza correggere.
Avevo I cassetti pieni di racconti abbozzati e mai conclusi perchè a forza di limare la forma in corso d'opera, la sostanza perdeva consistenza ed poco a poco il mio interesse per l'argomento ed i personaggi scemava, sinchè non li abbandonavo in un cassetto, ripromettendomi di riprenderli in seguito, cosa che ovviamente non avevo mai fatto.
Con questo esperimento volevo fare l'esatto contrario, arrivare in fondo al racconto, capire cosa volevano dirmi i miei personaggi e dove volevano andare a parare. Volevo vedere il contenuto. La forma sarebbe venuta dopo, se ne fosse valsa la pena.
La storia che stavo scrivendo era in parte autobiografica ed in parte chissà. Avevo in mente un canovaccio ma non sapevo dove mi avrebbe portato lo sviluppo del racconto.
Con l'aria condizionata era tutta un'altra cosa, respiravo e scrivevo rilassato.
“Mio figlio si affacciò alla scala a chiocciola che portava al mio studio: “Pà, la cucina è a posto. Io esco, vado in bibblioteca”
“Miky, mi faresti un favore?”
“dimmi”
“Mi compreresti le sigarette che io non ce la faccio ad uscire?”
Mi guardò interdetto”In queste condizioni direi che portarti le sigarette non mi pare propriamente un favore”
“dai Michele se devo morire non sarà l’ora che guadagno non fumando una sigaretta che farà la differenza”
“Lo sai che è un ragionamento a pera vero?”
“Certo che lo so, ho la tachicardia mica l’Alzheimer, prendi i soldi nei jeans in camera, due pacchetti di MS da dieci”.
Mi guardò con compassione per quel povero tossico che ero e sparì su per la scala.
Tornò dieci minuti dopo buttò le sigarette ed il resto sulla scrivania.
“Ora vado in biblioteca, vedi di andarci piano, non sarai il miglior padre del mondo ma ti ci avvicini, mi spiacerebbe perderti.” Mi sorrise e si dileguò.
Scrissi cinque pagine nelle seguenti due ore e mezza, la media era la solita: una pagina ogni mezzora, che il lettore avrebbe consumato in due minuti, daltronde scrivere di getto non voleva dire scrivere a cazzo un minimo di ragionamento era necessario.
Alle venti risalii per cenare, diciamo che scalai, fermandomi più volte, gli undici gradini che dallo studio portavano in cucina.
Non avevo fiato il cuore batteva all’impazzata, mi gettai sulla sedia respirando a bocca aperta.
Mia moglie era spaventata.
“Senti non puoi andare avanti così” mi disse”vestiti che ti porto al Pronto Soccorso”
“Ora passa” risposi “ se vado al Pronto Soccorso ora, mi tengono li sino alle due prima di visitarmi, come l’altra volta. Domattina vado all’ospedale, alla piastra medica hanno la mia cartella e conoscono il caso, qualcosa faranno.”
“Certo che hai la testa dura Pà” disse mio figlio.
“Dai mangiamo che è passata” risposi.
Dopo cena ridiscesi in studio per rispondere ad un paio di mail e pubblicare lo “spicchio” di racconto su FB, salutai alcuni amici e chiusi tutto. Ero stanchissimo, ma la scala non fu così pesante come la volta prima.
L’indomani mattina alle nove e mezza ero pronto per uscire era un pò tardi ma avevo i riflessi rallentati ed avevo fatto tutto molto lentamente.
“Allora io vado” dissi a mia moglie.
“Sei sicuro che non vuoi che ti accompagni?” mi rispose.
“Ma no, prendo la macchina e vedo di parcheggiare vicino all’ entrata, è Agosto un po di posto dovrebbe esserci.
Di solito per scendere in strada faccio le scale ma, vista la situazione, decisi per l’ascensore, mi sentivo abbastanza in forma.
Quando uscii in strada il caldo mi accolse con un ceffone memorabile.L’aria sembrava liquido rovente. Feci due o tre passi e mi appoggiai ad un muro respirando a bocca spalancata.Poco alla volta la respirazione tornò normale ed il cuore riprese un battito regolare. Feci altri due o tre passi, il garage dove tenevo l’auto era a soli cento metri, ne avevo già fatti una decina, ero a buon punto.
Azzardai qualche altro passo, il colpo di maglio arrivò sullo sterno con una potenza inaudita, mi si piegavano le ginocchia, mi sedetti su di un gradino “Signore, dio del cielo in cui non credo” mormorai” Se deve essere, che sia rapido, dritto al cuore ed amen.Ti prego che sia al cuore non al cervello, fammi morire con quel pò di consapevolezza di me che mi resta”.
I pochi passanti mi guardavano straniti e poi tiravano dritto.
Poco alla volta il dolore decrebbe, riuscivo di nuovo a respirare ma sentivo il cuore pulsare nelle orecchie come un tuono.
Riuscii ad estrarre il telefonino e chiamai mia moglie
“Lilli, vieni a prendermi, non ce la faccio da solo”
“Cristo, ma dove sei?”
“A metà strada.”risposi
“A metà strada dove? Sei ancora in macchina, hai accostato?”
“Sono a metà strada tra casa ed il garage, ci ho messo un quarto d’ora a fare cinquanta metri” risposi ”Se ce la faccio arrivo al garage e mi siedo in macchina, qui il sole picchia da bestia”.
“Mi vesto e arrivo, non ti muovere”.
Invece mi mossi, riuscii ad arrivare alla macchina ed a stamazzare al posto di guida.
Il ragazzo del garage mi guardava stranito”Tutto bene Danilo?”
“Si” risposi in un soffio ora mi riprendo.
“Se hai bisogno sono qui” disse.
“Grazie va già meglio”
Pochi minuti dopo arrivò mia moglie.
“Madonna santa Danilo, come stai, non vorrai mica guidare tu?”
“Bene, sto bene ora, ormai sono seduto qui e se non faccio sforzi non c’è problema, dai sali che andiamo”
Probabilmente pensava che fossi definitivamente impazzito ma apprezzai il fatto che salisse fidandosi ancora una volta di me.
Il viaggio fino all’ospedale Galliera fu tranquillissimo, evidentemente se non facevo sforzi la bestia che era in me rimaneva assopita.
Parcheggiai sulle striscie azzurre e mia moglie andò a fare il ticket, aspettai in macchina temevo il momento della discesa.
Ci avviammo verso l’ingresso di via Volta, fatti quattro passi il maglio riprese ad accanirsi contro la mia povera cassa toracica, credo facemmo una decina di tappe per raggiungere la piastra medica, li un infermiere che conoscevo di vista mi venne incontro.
“Ma noi ci conosciamo mi pare?” disse prendendomi sottobraccio ed accompagnandomi verso una porta aperta alle sue spalle.
“Si” sussurrai “sono Z.”e mi accasciai su di una poltrona dell’ufficio della caposala.
“Ora ricordo, io sono V. posso fare qualcosa per lei?”
“Spero proprio di si V.” risposi in un rantolo “lo spero proprio".
“Rimanga qui, che vado a cercare la sua cartella ed un medico”
“E dove vuole che vada?” gli risposi con un sorriso storto.
Mi fece il segno di Roger col pollice levato e sparì dalla mia vista.
.inedita diritti riservati in base alla legge
n° 633 del 22 aprile 19
14.08.2012 17:51
Era da domenica sera che non stavo bene.
Una spossatezza diffusa, difficoltà a respirare, dolori articolari.
Certo poteva essere il caldo, era Agosto e la temperatura superava spesso I trenta gradi.
Ma sapevo che stavo raccontandomela, sentivo che la bestia stava tornando contro ogni previsione contro ogni probabilità.
“Domattina vado all'ospedale” pensai “avrei già dovuto farlo ieri”.
Era martedì pomeriggio, martedì 7 Agosto 2012.
Mia moglie era al mare con un amica, io e mio figlio avevamo appena finito di pranzare, il termometro in cucina segnava 31 gradi.
“Miky Io mi sdraio un attimo che mi sento poco bene” dissi a mio figlio”fai tu la cucina?”
“Ok, finisco una cosa al pc e poi sparecchio” rispose andando a chiudersi in camera sua.
“Bene ma vedi che sia prima di notte.”
Mio figlio aveva quasi ventun'anni e faceva il secondo anno di chimica, aveva un intelligenza pronta che gli invidiavo ed una memoria notevole ma pareva che il suo unico interesse fosse passare ore davanti al pc a giocare o a disegnare.
Mi diressi lentamente verso il letto, mi sembrava di avere trecento anni.
Da sdraiato le cose andavano meglio.
“Cazzo” pensai”possibile che mister Embolo avesse deciso di tornare a farmi visita?”
Era trascorso solo un anno dall'embolia polmonare che quasi mi aveva portato in braccio alla “Commare Secca”.
Ma poi tutto era passato, sembrava un problema superato ed ora nuovamente quei sintomi.
Ma forse era solo il caldo, e l'età, e che fumavo troppo, e bevevo troppo, e non avevo un lavoro fisso, e forse la depressione.
Decisi di fare un po di meditazione controllando il respiro, pochi minuti dopo, dolcemente, mi addormentai.
Mi risvegliai verso le 16 riposato e più ottimista.
Andai in cucina che, ovviamente, era nelle condizioni in cui l'avevo lasciata prima di andare a riposare.
“Michele, porca paletta, la cucina! ” strillai.
“Si, un attimo e la faccio” mi rispose dalla camera .
“Sbrigati dai, che con 'sto caldo potrebbero svilupparsi forme di vita aliene dagli avanzi.”
Misi in frigo I cibi più deperibili e scesi nello studio.
Il mio studio era una stanza lunga e stretta ricavata dalla cantina, su uno dei lati lunghi avevo costruito una libreria di mogano in stile marina inglese, lunga sei metri ed alta due finita a gommalacca. Mi era costata tre mesi di lavoro ma era venuta uno splendore.
Sul lato corto che dava sul giardino c'era una finestra che prendeva quasi tutta la parete, posta a circa un metro e mezzo da terra, sotto la quale era posizionata una scrivania anni '50, trovata in cantina al momento dell'acquisto della casa e restaurata con cura certosina, la poveretta sopportava il peso del mio vecchio computer e dell’ enorme monitor a tubo catodico.Sull'altro lato lungo si apriva la porta che dava sul corridoio che portava al mio laboratorio di restauro e poi nella cantina vera e propria.
Nonostante fosse una cantina il caldo era insopportabile.
Mi venne in mente che, un paio di anni prima, il mio vicino mi aveva regalato un condizionatore ad unità esterna, chissà se funzionava ancora, valeva la pena di tentare.
Passai dallo studio al laboratorio e da li alla cantina.
C'era un discreto casino ma sapevo dove cercare, infatti lo trovai quasi subito. Era composto da due pezzi: un cassonetto alto circa un metro per cinquanta centimetri ed un'unità a valigia grossa, perlappunto come una valigia media. Le due parti erano collegate fra loro da un tubo corrugato lungo all'incirca tre metri.
Osservai a lungo il macchinario, avevo veramente voglia di spostare tutto quell'ambaradan sino allo studio?
Mi sedetti su di una cassa, avevo già il fiatone al solo pensiero.
Il cassonetto era montato su rotelle, se fossi riuscito a mettere la valigia sul cassonetto avrei potuto trascinare il tutto.
Mi avvicinai alla valigia, era pesante ma potevo farcela, la poggiai sul cassonetto cercando di metterla in equilibrio.
Poi iniziai a trascinere quel totem verso la porta.
Tra la cantina vera e propria ed il laboratorio c'era un piccolo gradino di due o tre centimetri, non ci avevo mai fatto troppo caso ma ora per me era una barriera architettonica. Tirai, spinsi, tirai di nuovo, nulla da fare, il fiatone aumentava, sudavo come una fontana ma non avevo la forza fisica per superare quel maledetto gradino.
Ora, io non è che sia proprio un omarino, sono alto un metro e ottantotto per 77 chili di peso e mi sono sempre reputato, se non un atleta, per lo meno un signore di mezza età in discreta forma.
Quei tre centimetri di gradino erano lì a dimostrarmi che mi sbagliavo.
Mi sedetti per riprendere fiato, il cuore batteva all'impazzata e respirare era molto faticoso.
Rimasi così qualche minuto, chiedendomi se non sarebbe stato opportuno chiamere mio figlio per farmi aiutare o addirittura lasciar perdere e rimettermi a letto.
Mi venne in mente che in laboratorio avevo una lastra di alluminio di circa un metro per un metro lasciata dai muratori che avevano ristrutturato la casa.
Andai a prenderla e la misi sul gradino poi trascinai il condizionatore lungo lo scivolo, in fondo le piramidi erano state costruite con quella tecnica no?Attraversare il laboratorio non fu difficile, arrivai comunque allo studio stremato ed in preda alla tachicardia.
Pensare di calare l'unità esterna dalla finestra era fantascienza per cui mi accontentai di posizionala nel corridoio rivolta verso la porta che dava in giardino.
Mi risedetti a prendere fiato”Pensa che bello se fosse rotta” dissi ad alta voce.
Poi inserii la spina nella presa e schiacciai il tasto start.
Il cassonetto ronzò si scosse poi dolcemente iniziò a soffiare un venticello fresco.
Mi sedetti alla scrivania ed accesi il pc.
Stavo scrivendo, da qualche settimana, un racconto a puntate sul mio profilo Facebook.
La regola che mi ero dato, e che cercavo di rispettare, era molto semplice.
Scrivevo di getto e poi pubblicavo senza rileggere e senza correggere.
Avevo I cassetti pieni di racconti abbozzati e mai conclusi perchè a forza di limare la forma in corso d'opera, la sostanza perdeva consistenza ed poco a poco il mio interesse per l'argomento ed i personaggi scemava, sinchè non li abbandonavo in un cassetto, ripromettendomi di riprenderli in seguito, cosa che ovviamente non avevo mai fatto.
Con questo esperimento volevo fare l'esatto contrario, arrivare in fondo al racconto, capire cosa volevano dirmi i miei personaggi e dove volevano andare a parare. Volevo vedere il contenuto. La forma sarebbe venuta dopo, se ne fosse valsa la pena.
La storia che stavo scrivendo era in parte autobiografica ed in parte chissà. Avevo in mente un canovaccio ma non sapevo dove mi avrebbe portato lo sviluppo del racconto.
Con l'aria condizionata era tutta un'altra cosa, respiravo e scrivevo rilassato.
“Mio figlio si affacciò alla scala a chiocciola che portava al mio studio: “Pà, la cucina è a posto. Io esco, vado in bibblioteca”
“Miky, mi faresti un favore?”
“dimmi”
“Mi compreresti le sigarette che io non ce la faccio ad uscire?”
Mi guardò interdetto”In queste condizioni direi che portarti le sigarette non mi pare propriamente un favore”
“dai Michele se devo morire non sarà l’ora che guadagno non fumando una sigaretta che farà la differenza”
“Lo sai che è un ragionamento a pera vero?”
“Certo che lo so, ho la tachicardia mica l’Alzheimer, prendi i soldi nei jeans in camera, due pacchetti di MS da dieci”.
Mi guardò con compassione per quel povero tossico che ero e sparì su per la scala.
Tornò dieci minuti dopo buttò le sigarette ed il resto sulla scrivania.
“Ora vado in biblioteca, vedi di andarci piano, non sarai il miglior padre del mondo ma ti ci avvicini, mi spiacerebbe perderti.” Mi sorrise e si dileguò.
Scrissi cinque pagine nelle seguenti due ore e mezza, la media era la solita: una pagina ogni mezzora, che il lettore avrebbe consumato in due minuti, daltronde scrivere di getto non voleva dire scrivere a cazzo un minimo di ragionamento era necessario.
Alle venti risalii per cenare, diciamo che scalai, fermandomi più volte, gli undici gradini che dallo studio portavano in cucina.
Non avevo fiato il cuore batteva all’impazzata, mi gettai sulla sedia respirando a bocca aperta.
Mia moglie era spaventata.
“Senti non puoi andare avanti così” mi disse”vestiti che ti porto al Pronto Soccorso”
“Ora passa” risposi “ se vado al Pronto Soccorso ora, mi tengono li sino alle due prima di visitarmi, come l’altra volta. Domattina vado all’ospedale, alla piastra medica hanno la mia cartella e conoscono il caso, qualcosa faranno.”
“Certo che hai la testa dura Pà” disse mio figlio.
“Dai mangiamo che è passata” risposi.
Dopo cena ridiscesi in studio per rispondere ad un paio di mail e pubblicare lo “spicchio” di racconto su FB, salutai alcuni amici e chiusi tutto. Ero stanchissimo, ma la scala non fu così pesante come la volta prima.
L’indomani mattina alle nove e mezza ero pronto per uscire era un pò tardi ma avevo i riflessi rallentati ed avevo fatto tutto molto lentamente.
“Allora io vado” dissi a mia moglie.
“Sei sicuro che non vuoi che ti accompagni?” mi rispose.
“Ma no, prendo la macchina e vedo di parcheggiare vicino all’ entrata, è Agosto un po di posto dovrebbe esserci.
Di solito per scendere in strada faccio le scale ma, vista la situazione, decisi per l’ascensore, mi sentivo abbastanza in forma.
Quando uscii in strada il caldo mi accolse con un ceffone memorabile.L’aria sembrava liquido rovente. Feci due o tre passi e mi appoggiai ad un muro respirando a bocca spalancata.Poco alla volta la respirazione tornò normale ed il cuore riprese un battito regolare. Feci altri due o tre passi, il garage dove tenevo l’auto era a soli cento metri, ne avevo già fatti una decina, ero a buon punto.
Azzardai qualche altro passo, il colpo di maglio arrivò sullo sterno con una potenza inaudita, mi si piegavano le ginocchia, mi sedetti su di un gradino “Signore, dio del cielo in cui non credo” mormorai” Se deve essere, che sia rapido, dritto al cuore ed amen.Ti prego che sia al cuore non al cervello, fammi morire con quel pò di consapevolezza di me che mi resta”.
I pochi passanti mi guardavano straniti e poi tiravano dritto.
Poco alla volta il dolore decrebbe, riuscivo di nuovo a respirare ma sentivo il cuore pulsare nelle orecchie come un tuono.
Riuscii ad estrarre il telefonino e chiamai mia moglie
“Lilli, vieni a prendermi, non ce la faccio da solo”
“Cristo, ma dove sei?”
“A metà strada.”risposi
“A metà strada dove? Sei ancora in macchina, hai accostato?”
“Sono a metà strada tra casa ed il garage, ci ho messo un quarto d’ora a fare cinquanta metri” risposi ”Se ce la faccio arrivo al garage e mi siedo in macchina, qui il sole picchia da bestia”.
“Mi vesto e arrivo, non ti muovere”.
Invece mi mossi, riuscii ad arrivare alla macchina ed a stamazzare al posto di guida.
Il ragazzo del garage mi guardava stranito”Tutto bene Danilo?”
“Si” risposi in un soffio ora mi riprendo.
“Se hai bisogno sono qui” disse.
“Grazie va già meglio”
Pochi minuti dopo arrivò mia moglie.
“Madonna santa Danilo, come stai, non vorrai mica guidare tu?”
“Bene, sto bene ora, ormai sono seduto qui e se non faccio sforzi non c’è problema, dai sali che andiamo”
Probabilmente pensava che fossi definitivamente impazzito ma apprezzai il fatto che salisse fidandosi ancora una volta di me.
Il viaggio fino all’ospedale Galliera fu tranquillissimo, evidentemente se non facevo sforzi la bestia che era in me rimaneva assopita.
Parcheggiai sulle striscie azzurre e mia moglie andò a fare il ticket, aspettai in macchina temevo il momento della discesa.
Ci avviammo verso l’ingresso di via Volta, fatti quattro passi il maglio riprese ad accanirsi contro la mia povera cassa toracica, credo facemmo una decina di tappe per raggiungere la piastra medica, li un infermiere che conoscevo di vista mi venne incontro.
“Ma noi ci conosciamo mi pare?” disse prendendomi sottobraccio ed accompagnandomi verso una porta aperta alle sue spalle.
“Si” sussurrai “sono Z.”e mi accasciai su di una poltrona dell’ufficio della caposala.
“Ora ricordo, io sono V. posso fare qualcosa per lei?”
“Spero proprio di si V.” risposi in un rantolo “lo spero proprio".
“Rimanga qui, che vado a cercare la sua cartella ed un medico”
“E dove vuole che vada?” gli risposi con un sorriso storto.
Mi fece il segno di Roger col pollice levato e sparì dalla mia vista.
.inedita diritti riservati in base alla legge
n° 633 del 22 aprile 19